La sapienza dei nostri avi, direttamente sulle nostre tavole
Aprile è arrivato, con lui la primavera e quindi anche il periodo delle moeche, il pregiatissimo crostaceo protagonista principale del famoso piatto della tradizione veneziana: polenta e moeche fritte.
Il suo nome scientifico è Carcinus Moenas (o granchio verde), in questo periodo dell’anno infatti perde la sua corazza e in breve tempo, deve essere pescato, prima che raggiunga il mare. Questo perché a contatto con l’acqua salmastra, la sua corazza si ricostruisce e a quel punto addio moeche.
A Venezia questo piatto fa la sua comparsa nell’immediato dopoguerra, grazie alla pazienza e alla furbizia dei pescatori di Burano che ne hanno carpito il segreto dai pescatori di Chioggia, i quali fino ad allora ne erano stati gli unici custodi per ben due secoli.
La pesca è molto laboriosa, eseguita con i serragli (lunghi sbarramenti di pali e reti) e collegati con le trappole a imbuto nella parte nord della laguna. A causa dei pochi periodi in cui si possono pescare, alle brevi finestre di tempo a disposizione dette Quaresima (marzo-aprile) e Fraìma (ottobre-novembre) e alla quantità risicata di pescato ottenuta, ne fanno lievitare il prezzo.
In più, i granchi in fase di muta devono essere separati dal resto del pesce, messi in sacchi di juta e portati ai casoni, dove esperti “molecanti”, separano i granchi prossimi alla muta da quelli non ancora maturi.
Perché le moeche prive del loro guscio e quindi più deboli, rischiano di essere facile preda anche per i loro simili ancora dotati di corazza.
Dura la loro vita, nel contempo buon per noi, che ci possiamo godere questo delizioso crostaceo grazie alla sapienza dei nostri avi.
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